Maltrattamenti a scuola: alternative migliori e meno costose dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria
BLOGGER Dino Donofrio
Questo periodo di scuole
chiuse è il momento più adatto per affrontare serenamente il fenomeno dei
Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS). Lontano dai riflettori della cronaca
giudiziaria dobbiamo provare a risolvere quelle domande che non hanno ancora avuto
risposta: perché è un fenomeno esclusivamente italiano?
Perché il Ministero
Istruzione non è mai intervenuto nonostante la crescita esponenziale del
fenomeno (14 volte in 6 anni)? Perché sindacati e associazioni di categoria non
hanno tutelato la categoria professionale? Può davvero, l’intervento
dell’autorità giudiziaria (AG), vicariare l’apparato scolastico nella
risoluzione della questione? Non è sufficiente, a garantire l’incolumità degli
alunni, un dirigente scolastico (DS) capace di trovare una soluzione rapida e
tempestiva da opporre ai lunghi mesi d’indagine dell’AG? E via discorrendo.
Prima di affrontare il tema
è bene ribadire, limitandoci a elencarle, le molte perplessità che portano con
sé i metodi d’indagine utilizzati dall’AG: inquirenti non addetti ai lavori;
audiovideo-intercettazioni ad libitum (pesca a strascico);
selezione avversa degli episodi; decontestualizzazione e interpretazione
drammatizzata degli stessi; visione dei soli videoclip contestati da parte dei
giudici (0,1% delle intercettazioni totali); violazione della riservatezza del
lavoratore tutelata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ecc…
Ciò detto, possiamo
elaborare una matrice “attore/caratteristica dell’azione” e considerare tre
potenziali tipi d’intervento in caso di PMS (DS, ispettore ministeriale
dell’USR, inquirente d’AG) valutandone contestualmente alcune caratteristiche
d’azione (competenze, tempestività d’intervento, obiettivo, metodi d’indagine,
costi) per valutare quale sia la strada più conveniente da intraprendere.
La tabella di cui sopra
consente di comprendere immediatamente l’opportunità assoluta di un tempestivo
intervento del dirigente scolastico con tutti i mezzi a sua disposizione:
controllo, vigilanza, affiancamento, sospensione, accertamento medico
d’ufficio. Più laborioso e lento sarebbe l’intervento ispettivo dell’USR che
non garantisce la tempestività d’azione se la piccola utenza è veramente a
rischio. Del tutto inadeguato e con metodi d’indagine impropri (estranei alla
scuola) è l’intervento dell’Autorità Giudiziaria che, per interrompere gli
eventuali maltrattamenti alla piccola utenza, richiederà numerosi mesi, mentre
occorreranno molti anni per venire a capo di un procedimento penale. Vale la
pena sottolineare come l’azione dell’AG sia volta all’esclusiva ricerca della
prova (anziché alla prevenzione immediata), intempestiva e dai costi
esorbitanti in termini di personale, tecnologie affittate, spese processuali e
tempo.
Posto che l’indagine è di
natura squisitamente professionale perché attuata nei confronti di un
professionista, sul posto di lavoro a contatto con l’utenza, dovrebbero
intervenire quelle garanzie minime sancite dall’art. 4 dello Statuto dei
Lavoratori che inibiscono il controllo dell’attività lavorativa in remoto con
strumenti tecnologici. A ovviare questo limite per l’AG interviene con una
“forzatura” l’autorizzazione del GIP su richiesta del PM. La Cassazione ha
tuttavia ritenuto acquisibili, e dunque valide ai fini processuali, anche le
intercettazioni ottenute senza esplicita autorizzazione del GIP, motivando il
suo orientamento col fatto che la scuola è equiparato a luogo pubblico e non
dimora privata. Resta però inspiegabile come la Suprema Corte non consideri
minimamente l’anzidetto diritto alla riservatezza del lavoratore.
Anche a questo proposito è
inconcepibile il silenzio di parti sociali e associazioni di categoria che non
intervengono a tutela delle maestre ignare dei rischi che incombono su di loro.
Se dunque, per l’indagine
professionale in questione è – come ampiamente dimostrato – preferibile e
adeguata un’azione tempestiva del DS piuttosto che un intervento dell’AG, ci si
deve chiedere perché ciò non avviene. L’unica spiegazione plausibile consiste
nella cortocircuitazione del DS con la denuncia dei genitori direttamente
all’AG stessa, o perché il DS non ha dato soddisfazione alle lamentele e
richieste d’intervento dei denuncianti. Nel primo caso l’AG dovrebbe ricondurre
il problema al DS, magari avvertendolo che intende essere avvisata degli
sviluppi mentre, nella seconda circostanza, dovrebbe interpellarlo limitandosi
a valutare come mai le contromisure assunte dal capo d’istituto si sono
rivelate insufficienti. Un siffatto comportamento dell’AG tenderebbe ad
azzerare i procedimenti penali per PMS, esattamente come avviene negli altri
Paesi, ottenendo altrettanti interventi tempestivi dei DS a favore della
giovane utenza che non verrebbe più esposta ad angherie di eventuali maestre
violente.
Figura cruciale è pertanto
il DS e non l’AG. Tuttavia, anche negli stessi procedimenti penali, il preside
viene raramente chiamato in causa, nonostante sia a tutti gli effetti
responsabile dell’incolumità degli alunni. In talune circostanze viene
addirittura nominato nelle indagini dalla AG come “ausiliario di polizia”,
quasi fosse una parte terza totalmente estranea al caso di PMS anziché il
responsabile del suo subordinato.
Sia dunque la scuola a
risolvere professionalmente e tempestivamente i suoi problemi senza dover
richiedere in futuro l’intervento di terzi non-addetti-ai-lavori che
non possono fare certo di meglio nemmeno volendolo.
Vedere le Forze dell’Ordine
– come capita oramai di questi tempi – impegnate nello spiare maestre con
telecamere nascoste, interrompere riti religiosi, inseguire runner sulla
spiaggia, rincorrere sub a pesca, di persona o con droni e altre tecnologie, ci
convince sempre più che non conviene mai sparare a una mosca con il cannone.
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